Tiziano Scarparo

Perché è fondamentale alimentarsi correttamente?

Quanti di voi hanno almeno un amico, un parente o un conoscente che mangia (apparentemente) a volontà ma non ingrassa? E quante volte avete pensato “beato/a lui/lei, se fosse così anche per me mangerei schifezze dalla mattina alla sera”? Questo accade principalmente per due motivi. Il primo è che tendiamo a idealizzare alcuni cibi e a demonizzarne altri, privandocene e finendo per desiderarli ancora di più. Il secondo è che spesso ci concentriamo solo sulle conseguenze che il cibo ha sul nostro corpo a livello estetico: la cellulite dovuta a una scarsa idratazione, i brufoli dovuti alla cioccolata e i cibi grassi che pensiamo ci facciano prendere peso. E i reni? E l’infiammazione? E i livelli di colesterolo e glicemia? L’alimentazione gioca un ruolo fondamentale per la prevenzione perché è alla base di moltissime patologie che possono portare a complicanze ulteriori. Partiamo dallo squilibrio del microbiota intestinale. Il nostro intestino è popolato da batteri che ci aiutano nella digestione e nel mantenere un equilibrio intestinale: sono batteri buoni. Pensate che sono molti di più delle cellule del nostro corpo. Tuttavia, c’è una componente cattiva che, se prende il sopravvento, porta a un malessere generale: ingolfamento, stipsi, gonfiore, diarrea. Ci sono poi disturbi intestinali, come il reflusso gastroesofageo, che si verificano quando si hanno problemi di digestione: una risalita dei succhi gastrici acidi irrita la mucosa dell’esofago portando reflusso e acidità. Queste condizioni si verificano a seguito di un’alimentazione sregolata che infiamma il nostro corpo, per questo l’azione antinfiammatoria del digiuno intermittente si pone come primo alleato, insieme a una corretta alimentazione, per non provare queste condizioni di malessere. Cosa mangiamo influisce anche quando già c’è una predisposizione genetica, come nel caso dello sfintere gastroesofageo. Quest’ultimo è una valvola che divide lo stomaco dall’esofago, perché nello stomaco ci sono succhi più acidi rispetto a quelli contenuti nell’esofago. Se i succhi dello stomaco si muovono ed entrano nell’esofago, lo infiammano, provocando bruciore: tramite l’alimentazione è possibile tenere sotto controllo questa condizione e regolare il funzionamento della valvola tenendo i succhi separati. La stessa funzione di prevenzione riguarda il caso dell’insulino-resistenza: alimentarsi bene non solo ci permette di evitare certe patologie, ma si presta anche come cura per far rientrare certi valori, guarire da alcuni disturbi ed evitare che alcune condizioni si trasformino in patologie più gravi e pericolose per la salute. Tornando all’insulino-resistenza, come funziona e come ci si arriva? Le cellule del pancreas sono programmate per secernere un certo quantitativo di insulina, un ormone, che permette di trasformare il glucosio (zucchero) in energia togliendolo dal circolo sanguigno e facendolo entrare nelle cellule. L’insulino-resistenza è la condizione che vede le nostre cellule incapaci di accogliere l’insulina propriamente, come se opponessero appunto resistenza. Questo impedisce all’insulina di entrare e comporta l’aumento dei valori di glicemia (zucchero) nel sangue. Le cause sono molteplici: alti livelli di grassi nel sangue, quindi di colesterolo e trigliceridi, eccessivo grasso sottocutaneo, obesità e sovrappeso; tutte condizioni legate a una scorretta alimentazione. Tuttavia, non bisogna pensare che questi valori o queste patologie possono averle solo persone sovrappeso: anche chi è normopeso, alimentandosi senza bilanciare correttamente i macronutrienti e ingerendo troppi grassi e zucchero può sviluppare queste patologie. Se facciamo lavorare eccessivamente il pancreas iperproducendo insulina perché le cellule non sono ricettive alla fine si esauriranno e non produrranno più insulina portando conseguenze negative, tra cui il diabete. Per questo è così importante tenere sotto controllo il livello di zucchero nel sangue. Il diabete è strettamente collegato con le malattie cardiovascolari: chi ha insulino-resistenza o diabete ha più probabilità di avere malattie cardiovascolari, infezioni e sviluppare ulcere recidive nei piedi. Anche in patologie non direttamente dipendenti dall’alimentazione questa rappresenta un perno centrale: le cellule tumorali, ad esempio, così come tutte le cellule, si nutrono di zucchero. Bisogna seguire uno stile di vita sano e bilanciato e prendersi cura del proprio corpo. L’educazione alimentare è il primo passo per prendere consapevolezza e vi stupirà sapere che tutto è concesso nel digiuno intermittente. Questo si presta come un ottimo protocollo alimentare per fare educazione alimentare e mangiare correttamente, sfiammare il corpo, prevenire patologie e mantenere bassi i livelli di colesterolo e glucosio: praticamente le cause alla base dei disturbi, condizioni e patologie appena spiegati. Tutto questo non deve spaventarvi o alimentare una percezione sbagliata dei cibi facendoveli classificare come amici e nemici: un panino con le salse, un tiramisù, una pizza o una fetta di torta non sono il male assoluto. Rientrano nella normalità, possono essere mangiati con serenità: come non si rovina un percorso con un pasto libero, non si sviluppano queste condizioni concedendoci delle coccole. Questa fuorviante percezione del cibo e dei cibi è alla base di tantissime credenze e comportamenti sbagliati che spesso derivano dall’infanzia. Le credenze, le percezioni e il nostro modo di alimentarci durante la crescita segnano la nostra mente e il nostro corpo. Perché, però, sono così tante le persone che tendono a identificare alcuni cibi come sani e altri come “cibi che fanno male”? Questa dicotomia non fa che farci credere di non essere mentalmente pronti ad alimentarci bene o a seguire uno stile di vita che in realtà implica vi siano solo delle accortezze che possono cambiare però il nostro aspetto e la nostra salute. Nel prossimo articolo vi spiegherò perché tanti cibi che spesso vengono demonizzati, in realtà, possiamo mangiarli senza vederli come uno sgarro, un incidente di percorso o senza sentirci in colpa, sensazione che non dovremmo mai provare dopo aver mangiato. Spero di avervi fatto prendere consapevolezza dell’importanza di una corretta alimentazione e del fatto che alla base di un percorso la prima motivazione deve essere prendersi cura del proprio corpo e della propria salute, per il tempio in cui viviamo. Grazie per avermi letto. A presto, Dr. Tiziano.

Come bilanciare correttamente i propri pasti

La nutrizione è uno degli ambiti più interessati dai falsi miti. Quanti di voi sono cresciuti credendo che non si possono mangiare i carboidrati la sera, o che l’acqua va bevuta lontano dai pasti, o che le proteine non si possono mischiare? Queste false credenze hanno plasmato la nostra realtà e il nostro comportamento alimentare. Anche consigli dati in buona fede risultano essere errati: ad esempio, il classico “frutta a volontà”, oppure “se hai fame mangia un frutto”. Attenzione, il frutto va benissimo, di certo non voglio demonizzare la frutta. Però, è un alimento zuccherato: si può e si deve mangiare, ma va bilanciato. Per questo, tengo particolarmente a questo articolo: ci sono delle accortezze da seguire, non per una questione di linea quanto di salute e di valori di glucosio e colesterolo. Infatti, il modo in cui consumiamo i nostri pasti influisce molto sull’indice glicemico. Come abbiamo visto nell’articolo precedente, che vi invito a leggere se non lo avete già fatto, i livelli di glicemia sono responsabili di vari fattori. Tra questi troviamo: il senso di fame, patologie come insulino-resistenza, diabete, ipercolesterolemia e livelli elevati di infiammazione generalizzata. Come dico sempre, ogni piano va bilanciato però ci sono delle regole generali che può seguire chiunque. Alla base c’è un concetto: bilanciare i macronutrienti. Ma, concretamente, che significa? Bilanciare i macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi polinsaturi) significa fare i giusti abbinamenti che permettono di aumentare il livello di sazietà e di mantenere bassi i livelli di glicemia e colesterolo. Vi ricordo, intanto, i principali alimenti che rientrano nelle varie categorie: Carboidrati: pasta, riso, farro, farina, crackers, gallette, patate, frutta, verdura. Proteine: carne, pesce, legumi, uova, seitan, tofu, tempeh. Grassi: avocado, frutta secca, olio, olive. Molti alimenti sono comunque al confine tra due categorie: ad esempio, nel salmone o nella ricotta troviamo sia grassi che proteine. Tornando alle regole di cui vi parlavo, vi elenco tre suggerimenti facilmente applicabili che possono davvero avere un impatto positivo sulla vostra salute. Regola n.1. Mai mangiare i carboidrati da soli. I carboidrati sono naturalmente l’alimento che fa alzare di più l’indice glicemico perché ricchi di zuccheri. Di conseguenza, è sempre meglio abbinarli a proteine e grassi polinsaturi che ne rallentano l’assorbimento ed evitano picchi glicemici. Infatti, a seguito di un aumento esponenziale dei livelli di glucosio (zucchero) nel sangue, vi sarà una rapida discesa che ci farà consumare più insulina del necessario e ci farà avere fame dopo un’ora. Concretamente, quindi, è utile consumare piatti completi: ad esempio, pasta associata a una proteina e a delle verdure. Degli spunti potrebbero essere pasta, tonno e funghi, oppure riso, gamberetti e zucchine, oppure pasta, ceci e zucca. Sono importanti anche le proporzioni: le proteine devono essere di più rispetto alla fonte di carboidrati. Questo influisce positivamente anche sul senso di sazietà: gli zuccheri richiamano zuccheri. Se mangiate un piatto di pasta senza proteine e verdure dentro ci vorrà una quantità molto maggiore di carboidrati per saziarvi, rispetto a un pasto ricco anche di proteine e fibre. Vi ricordo che anche la frutta è piena di zuccheri: per questo, andrebbe sempre associata ad alimenti ricchi di grassi polinsaturi, come la frutta secca, per l’indice glicemico. Per questo prima vi menzionavo i falsi miti: va benissimo fare merenda con un frutto in quanto ricco di sali minerali, vitamine e tanti altri micronutrienti essenziali, ma è preferibile associarlo a una fonte di proteine o grassi polinsaturi come le mandorle o uno yogurt greco. Regola n.2. Iniziare i pasti dalle verdure. Nonostante le verdure siano comunque carboidrati, si distinguono dai carboidrati complessi (oligosaccaridi e polisaccaridi come pane, pasta, riso e patate) perché ricchi di fibre: quest’ultime creano una rete in cui imbrigliano i carboidrati e svolgono la funzione di rallentare l’assorbimento degli zuccheri. Infatti, i carboidrati passeranno più lentamente all’interno del sistema digerente: verranno assorbiti e digeriti in un lasso di tempo maggiore. Questo comporta una digestione più lunga e un senso di sazietà analogamente più prolungato. Infatti, se non volete fare un piatto completo come quelli elencati prima, potete semplicemente mangiare prima proteine e verdure e, solo successivamente, il piatto di pasta. Anche qui, avrete preparato il vostro corpo fisiologicamente ad accogliere ed assimilare più lentamente gli zuccheri e avrete anche in parte calmato la fame con altro cibo, evitando il meccanismo di richiamo generato dai carboidrati complessi. Regola n.3. Mangiare lentamente. Mangiare lentamente, infatti, stimola la leptina che è l’ormone della sazietà. Mangiando rapidamente si rischia di mangiare più di quanto realmente sia necessario perché la leptina ha bisogno di circa 15 minuti per mandare al cervello il segnale di sazietà. Se mangiamo in meno di cinque minuti il cervello non riesce a ricevere questo segnale perché l’ormone non ha materialmente tempo di mandarglielo. In più concluderemo il pasto sentendoci appesantiti e poco soddisfatti di ciò che abbiamo mangiato. Spero di avervi fatto capire perché non bisogna focalizzarsi solo sulle ore di digiuno, ma bisogna bilanciare bene durante la finestra di alimentazione. Come spiegato anche tramite questi tre punti, nulla è vietato ma tutto va bilanciato. Spero che abbiate trovato utile questo articolo e che vi abbia aiutato a prendere consapevolezza dell’importanza dei giusti abbinamenti tra macronutrienti per la nostra salute. Però, perché è così fondamentale mantenere bassi i livelli di glicemia nel sangue? Quali sono le dannose conseguenze di un’alimentazione sregolata e sbagliata? Ve lo spiegherò nel prossimo articolo. Grazie per avermi letto. A presto, Dr. Tiziano

Perché le diete a 5 pasti rischiano di fallire?

Perché dover rinunciare ad un pasto quando si può dimagrire anche facendone 5? Ci eravamo lasciati con questo quesito, lecito se non si ha ancora una visione chiara del digiuno intermittente. Ricordo che anzitutto il DI è uno stile di vita che vale la pena intraprendere, indipendentemente dalla volontà o dalla necessità di dimagrire, per i benefici che apporta al nostro corpo. È quindi un modo di alimentarsi che io consiglio a prescindere per le sue funzioni antinfiammatoria e di prevenzione alle malattie. Tornando al tema di oggi, la motivazione più ovvia è che se una dieta da 5 pasti ci permette semplicemente di dimagrire, il DI ci permette di arrivare all’obiettivo anche disinfiammati, più consapevoli del nostro corpo, dei segnali che ci manda e con valori più stabili di glicemia e colesterolo. Inoltre, c’è un limite nelle diete da 5 pasti: in moltissimi casi si soffre la fame. Vi spiegherò il perché in maniera molto semplice. Noi deriviamo dall’uomo della caverna. A quei tempi il cibo a disposizione era limitato sia in frequenza che in quantità. L’uomo doveva cacciare o aspettare che gli alberi fiorissero per raccogliere bacche e frutti. Viveva stando alle regole della natura: questo comportava l’alternarsi di periodi di abbondanza in primavera-estate e periodi di carestia in autunno-inverno. Più riceveva cibo in periodi floridi, più il cervello mandava segnali di fame al corpo per far sì che approfittasse di questo momento di abbondanza per fare scorta di energie e grasso durante l’inverno. Al contrario, nei periodi di scarsità alimentare, il cervello non mandava questi segnali al corpo perché altrimenti, vista la poca disponibilità di cibo, gli uomini sarebbe morti di fame. Si tratta quindi di un meccanismo di difesa del corpo messo in atto per la preservazione della specie. Oggi, fortunatamente, questa scarsità di cibo non ci riguarda più e al contrario siamo sovralimentati. Il nostro corpo, però, è programmato per dover gestire mesi di carestia e mesi di abbondanza e quindi mette in atto gli stessi meccanismi che hanno permesso agli uomini delle caverne di non morire di fame e garantire l’evoluzione della specie. Tutto ciò significa che nutrendo il nostro corpo continuamente, facendo 5 pasti al giorno, il senso di fame aumenta e il corpo richiede sempre più cibo. Questo è legato anche alla glicemia (livelli di zucchero nel sangue). Più sono stabili i livelli di glicemia, più si riesce a mantenere stabile anche il livello di fame. Infatti, i picchi glicemici (aumenti esponenziali di zucchero nel sangue) sono seguiti da una fase di ipoglicemia (carenza di zucchero). In ipoglicemia il cervello manda segnali di fame al corpo producendo la grelina (ormone della fame). La stabilità della glicemia gioca un ruolo fondamentale, quindi, rispetto al senso di fame. È quindi chiaro che con le diete da 5 pasti che implicano una certa frequenza nell’alimentarsi la fame è maggiore, perché non riusciamo a mantenere costantemente bassi i livelli di glicemia. Appena si abbassano introduciamo altro cibo e aumentano nuovamente, senza aver tempo di stabilizzarsi. Durante il digiuno invece i livelli di glicemia sono ai minimi, per questo il corpo utilizza grasso e autofagia (ringiovanimento cellulare) per produrre energia. Mantenere la glicemia costantemente ai minimi è impossibile: fisiologicamente sale quando mangiamo. Tuttavia, è possibile evitare che ci sia un aumento troppo brusco bilanciando bene i macronutrienti e seguendo delle regole che permettono quindi anche di aumentare temporalmente il senso di sazietà. Con il DI quindi si arriva alla stabilizzazione nel periodo di digiuno e a livelli di glicemia bassi quando mangiamo, che scendono nuovamente ai minimi una volta chiusa la finestra alimentare. Per questo dico sempre che non bisogna focalizzarsi solo sulle ore di digiuno, ma anche su come sappiamo bilanciare perfettamente i nostri pasti secondo le singole esigenze. Prossimamente, vi aiuterò a capire come fare. Grazie per avermi letto. A presto, Dr. Tiziano

Digiuno intermittente e dieta chetogenica a confronto

Dove eravamo rimasti? Ah sì, vi parlavo del perché il digiuno intermittente è sostenibile a lungo termine… Se vi siete persi l’articolo precedente vi invito a recuperarlo per avere già delle basi dalle quali proseguire. Ci eravamo lasciati con un quesito: perché preferire il digiuno intermittente ad altre diete?. Tanti dei pazienti che seguo hanno alle spalle un lungo curriculum di diete che li ha portati ad essere vittime dell’effetto yo-yo del peso: chili persi, poi ripresi, poi ripersi e così via. Spesso, infatti, una precisazione che ci tengono a fare quando mi comunicano le loro necessità è questa: “Dottore, a me non preoccupa la parte del dimagrimento, io lo so che se mi ci metto ci riesco. Anzi, non ho fretta, va bene anche un dimagrimento lento: l’importante è che io non riprenda i chili persi’’. Partiamo anzitutto con il dire che il digiuno intermittente è un protocollo che prevede una restrizione temporale della fascia oraria in cui ci si alimenta. Concretamente, essendo mirato a diventare uno stile di vita, tutti gli alimenti sono concessi. Ovviamente i macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi saturi e polinsaturi) devono essere bilanciati, ma quale medico vi consiglierebbe di seguire un’alimentazione sregolata? Quindi, con il giusto equilibrio e secondo le proprie esigenze, si può mangiare tutto. Dal punto di vista alimentare è infatti una “dieta’’ mediterranea. La dieta chetogenica, al contrario, comporta molte rinunce. Dal punto di vista alimentare è per sua natura una dieta sbilanciata: prevede un alto apporto di grassi, un apporto medio di proteine e un apporto quasi nullo di carboidrati per mandare e mantenere il corpo in chetosi. Ci tengo a ricordare che tra i carboidrati rientrano anche frutta e verdura, alimenti fondamentali in uno stile di vita sano perché ricchi di nutrienti come vitamine, fibre, minerali. Questo comporta, quindi, delle carenze a livello nutritivo. Anche mentalmente la chetogenica, dopo poco, diventa insostenibile e fa cadere nel tranello del tutto o niente: quando poi allentiamo la presa rispetto alla rigidità che richiede, a causa delle rinunce fatte, diventa più difficile gestire le voglie e/o la fame nervosa. Quindi, seppur si riesca a perdere peso, una volta aumentata la flessibilità si riprende il peso perso, spesso con gli interessi. La chetogenica, quindi, non è sostenibile a lungo termine né a livello alimentare, né a livello mentale, né a livello sociale. In più, queste rinunce hanno come unico beneficio un momentaneo dimagrimento. È vero che essere normopeso è fondamentale per la salute, ma non basta: si può essere normopeso e soffrire di reflusso, avere patologie autoimmuni e/o alimentarsi in maniera sbagliata. Con il digiuno intermittente i sintomi di queste problematiche si riescono a tenere a bada, grazie all’azione antinfiammatoria. In più non si hanno carenze nutrizionali di alcun tipo mangiando tutto in quantità adeguate e bilanciando i macronutrienti, il che è fondamentale anche a livello mentale. Ricapitolando: la chetogenica comporta rinunce che ci portano a mollare e a riprendere il peso perso, il digiuno intermittente ci permette di avere un’alimentazione variegata, ci fa dimagrire, ci disinfiamma, ci aiuta a prevenire le malattie neurodegenerative, ci permette di tenere bassi i livelli di colesterolo e glicemia (zucchero) nel sangue e ci permette di avere un’alimentazione sana, completa e soddisfacente. Qualcuno, però, potrebbe chiedersi: perché dovrei saltare un pasto se posso dimagrire mangiando poco ma facendo 5 pasti al giorno? Vi spiegherò anche questo. Grazie per avermi letto. A presto, Dr. Tiziano.

Perché il digiuno intermittente è sostenibile a lungo termine?

Noto una preoccupazione ricorrente quando mi contattano nuovi pazienti: la paura di non farcela, che va di pari passo con la necessità di avere un cambiamento radicale e duraturo nel tempo. La soluzione è la seguente: il digiuno intermittente diventa uno stile di vita. Di conseguenza, ci permette di mantenere nel tempo i risultati ottenuti e di riscoprirci capaci di cambiare le nostre abitudini, alimentari e non. Qualcuno potrebbe pensare che sia facile a dirsi, meno a farsi. Tuttavia, per sostenere le mie tesi oggi mi avvarrò di teorie e studi esterni al mondo della nutrizione, seppur applicabili al nostro ambito di interesse. A molti di voi sarà capitato di provare numerosissime diete, perdere peso, raggiungere un obiettivo e poi lasciarsi andare riprendendo i chili persi, a volte con gli interessi. Per altri invece l’ostacolo maggiore è la paura di non riuscire a saltare un pasto, soffrire la fame o non avere abbastanza energie durante il giorno. Ogni cambiamento che apportiamo nella nostra vita ci pone delle sfide: ci troviamo a dover affrontare una situazione nuova, siamo quindi impreparati e non sappiamo se saremo effettivamente capaci di poter gestire le novità, le conseguenze e le emozioni che ne susseguono. Tuttavia, la chiave risiede nel trovare il proprio equilibro e adattarsi ai nuovi stimoli. Per fortuna, gli esseri viventi esistono proprio grazie a questa capacità di adattamento ai fattori esterni che ha garantito la sopravvivenza della specie. Eppure, quando il cambiamento è fonte di una necessità interna e dipende solamente dal nostro impegno è più difficile metterlo in atto. Per questo motivo, dobbiamo tenere a mente tre aspetti importanti che influiscono notevolmente sulla riuscita di una nuova abitudine che vogliamo entri a far parte della nostra vita quotidiana: Punto numero 1: Un cambiamento deve essere sostenibile e sarà portato avanti nel tempo se non risulta essere una complicanza ulteriore. Il digiuno intermittente effettivamente, da un punto di vista pratico, soddisfa a pieno questi requisiti. Tralasciando tutti i benefici che comporta a livello medico e salutare, risulta semplificare vari aspetti della nostra quotidianità. Ad esempio, dobbiamo preoccuparci di preparare un pasto in meno durante la giornata. Se decidiamo di saltare la colazione possiamo dormire 20 minuti in più o, se decidiamo di saltare la cena, possiamo tornare dal lavoro e fare una bella doccia seguita da un momento di relax prima di coricarci. In più, comporta anche un risparmio a livello economico quando si va a fare la spesa. La sua flessibilità permette di adattare gli orari ai nostri ritmi quotidiani: è il digiuno che si adatta a noi, mai il contrario. Punto numero 2: Un cambiamento si riesce a mantenere se ci piace e se non risulta essere un peso per noi. Chi ha già provato il digiuno intermittente potrà confermare che saltare un pasto e restringere la finestra in cui ci si alimenta è molto più facile di quanto sembri. Quando ingeriamo cibo si alza il livello di glicemia (lo zucchero nel sangue) e, se non facciamo dei pasti bilanciati, rischiamo di avere un picco glicemico che ci porta a sentire fame e a sentire lo stomaco brontolare già un’ora dopo aver mangiato. Per questo, è importante sapersi alimentare correttamente: i giusti abbinamenti tra macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi) ci permettono di evitare questi picchi, facendoci mantenere la glicemia costante e allungando il senso di sazietà. Con il digiuno intermittente non si sente fame perché il corpo, non ricevendo cibo durante la finestra di digiuno, mantiene bassi i livelli di glicemia e si auto-regola. L’energia la trova attingendo al grasso depositato e attraverso la rigenerazione cellulare, facendoci quindi sentire in forze anche a digiuno. In più, questo percorso è uno stile di vita, non una dieta dimagrante, quindi non comporta rinunce: al contrario ci permette di mangiare tutti gli alimenti e di gustarci i nostri pasti che devono essere, ovviamente, bilanciati secondo le nostre esigenze. Punto numero 3: Siamo motivati a mantenere una nuova abitudine se abbiamo delle prove che attestano che ne valga pena. In questo caso il digiuno intermittente apporta benefici misurabili sia a livello estetico che non. Voglio infatti ricordare che il dimagrimento è solo una conseguenza diretta di una serie di processi che avvengono dentro di noi. Tra i benefici interni abbiamo: mantenimento basso di valori quali colesterolo e glicemia, prevenzione delle malattie cardiovascolari, neurodegenerative e azione antinfiammatoria. Chi è affetto da malattie auto-immuni sarà quindi motivato grazie alla riduzione dei sintomi, così come chi ha problemi gastrointestinali non dovrà più convivere con reflusso e bruciori di stomaco invalidanti. Altri riscontri frequenti sono lucidità mentale e aumento di energie. Concludendo, il dimagrimento stesso a livello concreto torna a favorire la mobilità, a ridurre il senso di stanchezza e appesantimento mentre a livello mentale infonde sicurezza in noi stessi e ci fa tornare ad amarci. Quindi, perché il digiuno intermittente è sostenibile a lungo termine? Perché risulta essere semplice, comodo, piacevole e soddisfacente. Ci fa sentire bene, ci fa riscoprire capaci di porci degli obiettivi e migliora le nostre abitudini e il nostro stile di vita. Abbiamo quindi capito che il digiuno intermittente funziona ed è fattibile. Perché, però, preferirlo ad altre diete? Ve ne parlerò prossimamente. Grazie per avermi letto, a presto. Dr. Tiziano.